È difficile stabilire quando un’idea diffusa diventa una leggenda urbana, e acquista insieme alle circostanze aneddotiche che l’hanno verificata il carattere tipico del mito. Il tema della morte apparente e del conseguente seppellimento prematuro ha radici antichissime fin dalla letteratura greca, sebbene un celebre esempio compare solo nella seconda metà del 1500, con l’opera Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
Padre Lorenzo consegna a Giulietta, disperata dalle imminenti nozze con Paride una pozione che le permetterà di fingersi morta
“Prendi questa ampolla, e bevi questo liquore preparato: subito ti correrà per tutte le vene un fluido freddo che addormenterà in te la vita; poiché il polso non conserverà più il suo movimento regolare, ma cesserà di battere: nessun calore, non un respiro, attesteranno che tu vivi; le rose delle tue labbra e delle tue guance appassiranno e si faranno pallide come la cenere; sugli occhi ti cadrà il velo delle palpebre, come quando la morte chiude il giorno della vita. Ogni membro del tuo corpo, privato della padronanza del movimento e della flessibilità, rigido, intirizzito e freddo, avrà l’aspetto della morte: sotto questa temporanea sembianza di mortale rattrappimento tu resterai per quarantadue ore, e quindi ti desterai come da un placido sonno” [1].
Ad oggi se questa pozione esista davvero è pura speculazione. Le ricerche mediche hanno ipotizzato che la composizione più probabile di una tale sostanza debba essere a base di derivati morfinici e di estratto di piante della famiglia delle solenaceae*.
Per quanta riguarda il tema più inquietante ma strettamente legato del seppellimento prematuro si può indicare la sua maggiore diffusione alla fine dell’Ottocento, quando le angosce di un’ampia porzione della popolazione americana ed europea furono condensate nel racconto di Edgar Allan Poe, sul tema [2]. Nel suo racconto, infatti, il protagonista dopo aver minuziosamente elencato casi di cui era conoscenza riguardo seppellimenti di persone ritenute erroneamente morte, spiega il suo travaglio dovuto al fatto di soffrire di una forma di catalessia: malattia che induce perdite di coscienza di durata anche di diversi giorni, durante le quali tutti i segni vitali risultano così fievoli da non essere percepibili.
“Senza esitazione si può affermare che non c’è nulla che più terribilmente possa ispirare tanta suprema disperazione fisica e morale quanto un seppellimento prematuro. L’oppressione intollerabile dei polmoni, le esalazioni soffocanti della terra bagnata, il freddo contatto delle vesti funebri, il rigido abbraccio della stretta prigione, l’oscurità della notte assoluta, il silenzio che sommerge come un mare, la invisibile e però sensibile presenza del verme conquistatore. Tutto questo unito al pensiero dell’aria e del verde che sono sopra; e dei cari amici che accorrerebbero a salvarci se sapessero del nostro fato, mentre si sa bene che non potranno mai esserne informati, e che il nostro destino senza speranza è quello di un morto veramente morto: Tutto questo, dico, porta dentro il cuore che ancora batte un orrore grande come la più audace fantasia non può immaginare.”
Il terrore in quel tempo era così diffuso che vi era una resistenza a lasciar seppellire i corpi dei deceduti, finché non vi fossero prove fisiche incontrovertibili di morte. George Bateson fu l’inventore di uno dei mezzi più all’avanguardia nel risolvere questo problema. Inventò una bara con annessa campana, assicurata tramite un cavo fissato al battente con il polso del deceduto o presunto tale. Un semplice movimento avrebbe fatto suonare la campana e attirato aiuti. Ma, come si legge anche nel racconto di Poe, le astuzie non finivano certo qui. C’erano cripte con aperture a molla, bara deposte e tumulate ma non seppellite. O, per chi non avesse mezzi finanziari, un più tradizionale badile messo nella bara, per scavarsi una via di fuga, Un breve resoconto della vita e della (strana) morte di George Bateson è riportato nel romanzo storico (basato su un evento reale) 1885 – la grande rapina al treno di Michael Crichton, nel quale anche questa angoscia collettiva gioca un ruolo importante nella trama [3].
Poi, ciclicamente, il tema era passato, per essere risollevato di tanto in tanto da racconti aneddotici di qualche evento isolato che i media hanno rinominato sindrome di Lazzaro, con un buon effetto teatrale, ma senza nemmeno preoccuparsi di tirare fuori una motivazione razionale quando non scientifica. Di meglio aveva fatto in un bel racconto breve contenuto nella raccolta Tutto è fatidico Stephen King, in cui attribuiva un caso analogo al morso di un serpente che era sfuggito all’esame autoptico medici. Sul come si salvi il povero malcapitato del racconto Autopsia 4 vi rimando a racconto stesso [4].
Su quale sia la causa della sindrome di Lazzaro non è possibile dare una ragione. Infatti, come esemplificato con buon acume medico da King, ogni sindrome può avere molteplici cause da valutare singolarmente. Infatti “sindrome”, per definizione, altro non significa che associazione di sintomi e segni che compaiono tendenzialmente insieme.
Fine della prima parte.
* La consulenza sulla farmacologia della pozione di Romeo e Giulietta è merito di A.R., professore in pensione di Anestesia, Rianimazione e Tossicologia dell’Università di Roma.
[1] Shakespeare W. Romeo e Giulietta. Atto IV, Scena I.
[2] Poe, EA. Il seppellimento prematuro. Nei Racconti del terrore. 1993
[3] Crichton M. La grande rapina al treno. 1975
[4] King. S. Autopsia 4. In: Tutto è fatidico. 2002