Capitolo 46: la correttezza di Cartesio.

Questa è una riflessione personale che ben si adatta all’umore e ai pensieri che ho in questo ultimo periodo. Il dato comunque è scientifico, meramente fisiologico, però qualcuno con pazienza e talento per queste cose (non certo io, che non brillo per nessuna delle due) potrebbe sviluppare delle idee filosofiche. Pensandoci credo che in fondo l’abbia già fatto Cartesio.
Quello che vediamo in reltà non esiste. L’immagine che abbiamo all’interno della della nostra coscienza è un’artefatto generato a livello della corteccia cerebrale da neuroni che sono in grado di attivarsi e disattivarsi a seconda dell’attività elettrica che giunge loro attraverso le radiazioni ottiche. Riepiloghiamo: noi fissiamo un oggetto. La luce che rimbalza dall’oggetto al nostro occhio trasmette attraverso le sue caratteristiche  spaziali e ondulatorie-particellari una sequenza di informazioni che caratterizzano quell’oggetto: colore, dimensione, forma. La luce eccita le cellule nervose della retina, i coni e i bastoncelli che svolgono un po’ la funzione che svolge un’antenna sul tetto. Trasforma una trasmissione ondulatoria in un codice di bits, simile al codice morse di punti e linee, di acceso-spento, di scarica elettrica o silenzio elettrico. Queste viaggiano lungo le terminazioni nervose e arrivano alla corteccia occipitale. Lì l’elaboratore del nostro cervello ricostruisce un’immagine come può. Cioè usando i meccanismi e i circuiti a sua disposizione, che si sono sviluppati sulla base dei geni che li hanno codificati e dell’ambiente che ha permeato l’attività. Immaginate di dover aprire un file con estensione, ad esempio, .dat; a seconda del programma che usate (notepad, excel, JMP) quello che vedrete avrà un aspetto estremamente vario. Così, per assurdo, una persona eccezionalmente miope potrebbe non vedere le vere caratteristiche di un oggetto pur avendolo davanti agli occhi a un palmo dal naso. Un daltonico non avrà mai nella sua coscienza l’idea del rosso. Il rosso per lui letteralmente non esisterà, mentre per il vicino sì. A questo punto la domanda è: chi ci dice che il nostro cervello ha il programma più giusto per vedere le cose, o sentirle. Noi accettiamo statisticamente che le cose siano un un determinato modo. Ma, facciamo l’ipotesi, una razza aliena – ammesso che ce ne siano – con una linea evolutiva diversa in maniera radicale rispetto alla nostra come vedrebbe la famosa rosa alla fine del libro di Umberto Eco?
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